Per secoli l’estrazione dell’oro è stata un’operazione complessa e laboriosa, strettamente legata al tipo di giacimento.
Infatti, la tecnica dipendeva da come si presentava l’oro allo stato nativo: se veniva trovato in depositi fluviali, si cercava di recuperarlo attraverso le sabbie aurifere, sotto forma di piccole pepite o di pagliuzze; se invece, veniva individuato in depositi detritici, poteva essere estratto grazie al metodo idraulico.
Infine, nelle miniere vere e proprie, si procedeva scavando a mano e, quindi, con un ingente dispiegamento di forza lavoro.
Oggi l’oro solitamente è disponibile in sedimenti rocciosi e l’approccio è completamente diverso ma, le nuove applicazioni della tecnologia moderna, risultano molto costose perché necessitano di una grande quantità di energia per il disgregamento delle rocce.
I processi più utilizzati, sono l’amalgama e la cianurazione, entrambi accomunati dall’impiego di sostanze nocive.
L’amalgama, infatti, prevede l’uso di mercurio con il quale si procede alla dissoluzione dell’oro, mentre la cianurazione si avvale di un composto di cianuro di sodio utile per la separazione dell’oro, dagli altri minerali, a cui è solitamente aggregato.
Inoltre, nel caso in cui il materiale roccioso sia di scarsa qualità, spesso è necessario ripetere più volte l’applicazione di cianuro.
La conseguenza di questi questi casi, che si verificano piuttosto spesso, è che la quantità di elementi tossici rilasciati, sarà ancora maggiore.
Ma non è tutto: anche i passaggi relativi alla raffinazione dell’oro, sono altamente inquinanti.
I più usati sono:
- il processo Miller, eseguito con gas di cloro e
- il processo Wohlwill che avviene per elettrolisi, cioè con l’aggiunta di reagenti chimici.
Se poi, a questi problemi di natura ambientale, si aggiunge che in moltissime miniere, concentrate sopratutto nei paesi del Sud-Africa e del Centro-sud America, per risparmiare sui costi della manodopera, vengono reclutati ragazzi giovanissimi e addirittura bambini, ci si rende conto di quanto sia urgente reagire per mettere fine ad una realtà divenuta, ormai, insostenibile.
Ecco perché, sempre più spesso, si sente parlare di “oro etico“.
In realtà questo termine è stato coniato più di 10 anni fa, ma solo recentemente, i mass media di tutto il mondo, se ne stanno occupando facendo da cassa di risonanza.
Ma cos’è l’oro etico e perché sta suscitando tanto interesse?
Con questo termine s’intende l’estrazione del metallo prezioso senza l’impiego di sostanze nocive per la natura e per la salute dell’uomo.
Il materiale viene estratto, generalmente, nei pressi di giacimenti alluvionali dove la ricerca avviene ancora a mano.
L’oro è separato dalla sabbia “per sospensione”, grazie a strumenti innocui, realizzati in legno, come il canaletto o la batea.
Certamente questa tecnica artigianale richiede più tempo e più pazienza e quindi i gioielli realizzati con oro etico sono un pò più costosi degli altri, anche perché la differenza di prezzo è destinata a finanziare progetti umanitari molto importanti.
Ad esempio, ancora oggi molti minatori lavorano in condizioni quasi disumane, senza nessuna forma di tutela e senza la dotazione di arnesi fondamentali come stivali, occhiali e caschi di protezione.
Per non parlare della penosa piaga sociale che riguarda lo sfruttamento minorile: è stato calcolato, infatti, che nel mondo, sono circa 15 milioni i minori che attualmente vengono impiegati nelle miniere.
L’età media di questo numero impressionante di bambini è di 8 anni.
Si tratta di minori poverissimi, spesso orfani, che lavorano sotto terra, secondo turni a ciclo continuo, per compagnie senza scrupoli, spesso sprovviste anche di regolare licenza
Ecco perché nel mondo, già da qualche anno, sono nate aziende specializzate nel recupero di oro etico come la “Goldlake Group“, attiva sopratutto in Honduras, e sono sbocciati tanti progetti, volti al sostegno e alla diffusione di nuove tecniche eco sostenibili.
Uno dei primi è stato il progetto Gama, nato in Perù, focalizzato sulla formazione dei minatori e sullo sviluppo di un nuovo metodo di estrazione, reso possibile grazie ad un innovativo sistema di riciclo dell’acqua.
Tema, questo, al centro delle politiche perseguite da “Fairtrade International”, una delle maggiori associazioni no profit. a livello mondiale, che si occupa di commercio equo solidale e fondatrice di Comic Relief, un programma nato con l’obiettivo di contrastare la gestione malsana delle società aurifere.
Fairtrade, nel corso degli anni, si è occupata della grave situazione nelle miniere dell’ Indonesia, Cina, Ghana, Mali, Perù, e, più recentemente, dello sfruttamento minorile nei numerosi giacimenti della Tanzania, chiedendo interventi mirati da parte di organizzazioni umanitarie e di enti governativi e non, come l’ “Human Rights Watch”, sempre in prima linea nella difesa dei diritti dei minori.
Ma, nel suo piccolo, ognuno può fare la sua parte.
E’ possibile, ad esempio, diffondere la cultura dell’oro eco sostenibile firmando petizioni, o semplicemente informando gli altri sulle nuove metodologie di estrazione, che molti ancora ignorano.
Ma, sopratutto, si può scegliere di acquistare un oggetto prezioso certificato “green gold” : un gesto semplice, ma carico di significato.
E, stando ai recenti dati contenuti nel Rapporto Italia 2014 dell’Eurispes, questo impegno è stato preso molto sul serio perché, nel 2013 le vendite di oro etico sono aumentate del 18,5% e, il buon andamento di questi primi 2 mesi dell’anno, conferma un trend ancora in crescita.
Certamente contribuire alla diffusione della cultura del green gold è fondamentale ma comprare per sé, o magari donare, un oggetto realizzato in oro etico, (indipendentemente dal suo valore oggettivo), significa rispettare il pianeta in cui si vive e amare il prossimo, in modo particolare, i bambini più sfortunati.